La Ferragni sul Nove, tra interviste e occasioni mancate.

Ho visto l’intervista di Fabio Fazio a Chiara Ferragni e mi sono fatto un’idea abbastanza chiara della situazione.

Dunque, l’intro di Fabio Fazio chiarisce immediatamente un aspetto che ha sempre destato polemiche nella conduzione delle sue varie trasmissioni: il fatto di non fare domande cosiddette scomode.

In questo caso, il Codacons aveva proposto anche delle domande (qui il link),facendo scattare la reazione del conduttore: la sua trasmissione non è un tribunale e lui non è un giudice, quindi non aspettatevi un atteggiamento inquisitorio.

Mai Fazio ha avuto un atteggiamento inquisitorio verso i suoi ospiti, ha sempre caratterizzato le sue trasmissioni in questo modo (e non è detto che sia un male) e di certo non c’era da aspettarsi un cambio radicale nell’intervista più attesa del momento.

Che il Codacons ritenga (qui) che «avrebbe dovuto (…) entrare più nel dettaglio della vicenda e delle comunicazioni legate al pandoro, in modo da chiarire meglio ai telespettatori quali fossero i chiari messaggi lanciati dalla Ferragni e da Balocco che non lasciavano affatto spazio ad alcun fraintendimento».

In realtà, probabilmente con i procedimenti ancora in corso un atteggiamento di questo tipo sarebbe stato inefficace.

Anzi, per certi versi è stato meglio porsi in modo pacato e sereno, riuscendo a far parlare la Ferragni di tutto, facendola esporre anche in modo imprevisto (quindi, in sintesi, onestamente non mi è parso uno spettacolo indecente).

Non va dimenticato che la libertà di manifestazione del pensiero non può essere una valida giustificazione per spargere odio, offese o meschinità, a maggior ragione se dirette, come nel caso dei Ferragnez, verso un bambino (il figlio Leone) oltre che verso la stessa coppia.

Badate bene, credo che per l’eccessiva esposizione social dei figli, i Ferragnez siano criticabili. Credo anche che nel caso del Pandoro-gate possano configurarsi diverse criticità operative e comunicative da parte di Chiara Ferragni e non tanto da parte degli utenti (ma poi vedremo le risultanze dei giudici, non la considero una truffatrice a prescindere).

In ogni caso, nulla di tutto ciò, giustifica l’odio nei loro confronti. Dico ciò, al netto delle sue responsabilità su cui si approfondirà nelle sedi opportune, Chiara Ferragni è vittima di un’ondata di odio raramente vista in precedenza, cosa che, questo momento, premia l’engagement, perché i contenuti diventano virali più facilmente.

L’effetto emulativo è anche per la violenza e non solo per la beneficenza: su quest’aspetto occorre spendere due parole. Da un lato, la violenza va evitata anche per evitare le shitstorm, dall’altro posso anche concordare sul fatto cosa che pubblicizzare la beneficenza può avere effetti imitativi positivi.

Ma a maggior ragione per questo nel caso Pandoro-gate, e anche nel caso delle Uova di Pasqua, una maggiore chiarezza, su chi faceva la donazione e in che termini, sarebbe stato un fattore davvero determinante in positivo per spingere a fare beneficenza: colpisce davvero che non ci siano arrivati.

Vediamo il main theme dell’intervista, che si concretizza quasi subito. È il tema della sincerità, che sembra essere quasi l’obiettivo della Ferragni, la quale non sembrava volersi discolpare, ma sembrare una persona autentica, naturale e non costruita.

Non credo sia molto riuscita nell’obiettivo, a partire dalla storia postata, poche ore prima con tanto di filtri. Ebbene, nel 2021, l’Advertising Standards Authority inglese (ASA) ha giudicato l’uso dei filtri Instagram (almeno nelle pubblicità dei cosmetici) come fuorviante.

È evidente che corpi perfetti costruiti virtualmente (per lo più con i filtri o con Photoshop) instillano il continuo pensiero di non essere all’altezza. Una «aggiustatina» da un lato ci rende più appetibili, ma dall’altro vanifica quell’aura di sincerità che la Ferragni avrebbe voluto darsi.

Entra in contraddizione, infatti, quando dice «è bello far vedere le imperfezioni»: questa, condivisibilissima, dichiarazione (in parte supportata dalle passate terapie di coppia rese pubbliche) sembra confermare, tuttavia, che un obiettivo fosse far pensare che è più umana, più vulnerabile, insomma, più vera nonostante le premesse (sebbene, cioè le stories utilizzassero dei filtri per modificarne l’aspetto).

Aspetto, per certi versi, confermato in un passaggio sfuggito ad alcuni (ma non, tra gli altri a Matteo Flora e Massimiliano Dona): ripetere come un ossesso di essere stata fraintesa dalle persone (una parte delle quali sono i tuoi followers) non è mai stata una cosa saggia.

In pratica è come se dicesse: «eh ragazzi, io sono una professionista del settore, un’imprenditrice, l’Oppheneimer de noantri, se Titina da Casagiove o se Maria Elena da Spotorno non capisce, vuoi vedere che è colpa mia?» (spoiler: sì).

Chi comunica ha l’onere della chiarezza e se l’opacità ha spinto, in ordine, inchieste giornalistiche, provvedimenti giudiziari e la redazione del ddl c.d. «Ferragni», la questione è un po’ più seria del: «chiedo scusa, sono stata fraintesa, non avete capito». Tutto questo ambaradan, brand che fuggono compresi (cosa che forse spaventa più la Ferragni rispetto alla sua fan base tutto sommato stabile) e procedimento per truffa aggravata non capita per un fraintendimento, per un errore di comunicazione puro e semplice, ma per qualcosa di più serio che genera un danno reputazionale di proporzioni bibliche.

Non so se la separazione da Fedez sia vera o falsa, nemmeno mi interessa a dire il vero, tanto lo sapremo prima o poi, non credete di sfuggire. Quel che so è che è capitata a fagiolo per la sua, rara, apparizione tv.

Anzi, perché era in tv? Per comunicare ai suoi followers? Non credo, avendo con la sua fan base un rapporto diretto e avendo ricevuto un danno minore rispetto alla fuga dai brand (che ripeto ha un danno pari a quello di una slavina).

Vuole recuperare i brand in fuga? Probabile, e forse ha assestato un buon colpo per la sua causa principale, è riuscita a dare un segnale che la sua audience è anche in tv, che anche lì attira l’attenzione, che, quindi, le partnership commerciali possono e devono riprendere (sono fondamentali, ovviamente come ha sottolineato).

Insomma, niente a che vedere né con i dispiaceri del Pandoro-gate, niente a che vedere con i suoi carissimi followers ma una prova di forza commerciale: l’intervista della Ferragni fa impennare lo share.

Ecco, proprio tutto questo genera un’ultima contraddizione: sembra sempre tutto studiato, magari non lo è e ci sbagliamo tutti, ma sembra che negli errori, nella gestione maniacale dell’impresa, nella totale condivisione della propria vita (al punto che sembra che sia tutta la vita condivisa e non una parte) ci sia tutto fuorché la spontaneità.

Infine, i social non sono un gioco, sono vita reale: la gogna pubblica, chiunque la subisca, i modelli falsamente perfetti, la condivisione del presente a ogni costo piuttosto che il vivere la vita sono aspetti tremendamente reali, sui quali non si scherza.

Subire una palata di odio fa di sicuro male, e non lo auguro a nessuno, ma una vita in cui la maggior parte è strutturato per la condivisione rischia di diventare una realtà distopica e alienante.

Spero che Chiara Ferragni, e tanti come lei, riescano a concentrarsi sul vivere piuttosto che sul condividere, pur proseguendo nella sua impresa: una maggiore selezione di ciò che si vive e di ciò che si condivide, forse può aiutare, come può aiutare, se si vuole tessere l’elogio dell’imperfezione, una serie di reel in cui ci sono le «papere» in fase di preparazione dei contenuti.

Solo così sarà più accessibile l’idea di naturalezza, di semplicità e non di finzione anche in un banale video di scuse.

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