La decisione dell’Oversight Board Charter sul deplatforming di Trump.

L’Oversight Board Charter, il Comitato voluto da Zuckerberg di cui ho già scritto qui l’anno scorso, ha confermato la decisione di Facebook del 7 gennaio 2021 di limitare l’accesso dell’ex Presidente Trump alla pubblicazione di contenuti sul suo account Facebook e Instagram (qui la decisione).

Il Comitato ha riscontrato che, in più di un’occasione, Trump aveva gravemente violato gli Standard della community di Facebook e delle Linee guida della community di Instagram, in quanto elogiava persone coinvolte in atti di violenza (che nel caso concreto sono identificabili, per chi l’avesse dimenticato, con gli attacchi a Capitol Hill).

Inoltre, ripetendo a manetta tutte le fake news sui brogli elettorali The Donald ha contribuito in modo determinante il clima di tensione: difatti, «al momento della pubblicazione dei post, c’era un chiaro e immediato rischio di violenze e le parole di Trump a supporto delle persone coinvolte nelle rivolte hanno legittimato le loro azioni violente. In qualità di Presidente, Trump aveva un elevato livello di influenza».

Quello che, ‘criticamente’ rileva il board è «la sospensione a tempo indeterminato come sanzione non aderente agli Standard e non definita dal punto di vista temporale». Da giurista, mi pare un aspetto sostanziale: sorvolando un attimo, e solo per un attimo, sul fatto che a infliggere una limitazione della libertà personale è un soggetto privato, va chiarito che tale limitazione non può certo essere priva di una iniziale determinazione temporale.

Difatti, questo tipo di violazioni, a seconda della loro gravità, può essere sanzionata con la rimozione dei contenuti in violazione, l’imposizione di un periodo di sospensione temporalmente definito o la disattivazione permanente della pagina e dell’account.

Aggiungo anche: un qualunque procedimento decisionale, che porta a una censura del pensiero, non può prescindere da un corretto principio del contraddittorio: invece, l’ex presidente Trump non è stato ascoltato.

Tutto ok quindi? No: Nick Klegg, vice di Zuckerberg, ha dichiarato che «Sebbene queste raccomandazioni non siano vincolanti, esamineremo attentamente le raccomandazioni del board». Ovviamente nessuna sicurezza in merito. Ed è proprio questo il problema: le decisioni sono vincolanti? In una risposta pubblica, come al solito, rimangono ambigui:

«Implementeremo queste decisioni vincolanti in conformità con lo statuto (…). Quando sarà possibile, implementeremo la decisione del Comitato su contenuti identici e realizzati con sentimenti e contesto simili (…) I nostri team stanno anche esaminando le decisioni del Comitato per determinare in quale altro luogo dovrebbero applicarsi a contenuti identici o simili».

In sintesi: le parole di Trump erano da ritenersi ragionevolmente pericolose, ma, ciò non può giustificare abusi. Ogni comportamento, potenzialmente censorio, dev’essere valutato da un soggetto effettivamente terzo, con regole predeterminate e con conseguenze effettive.

Cosa succederebbe, infatti, se al posto di Trump ci fosse una minoranza discriminata in uno Stato governato da un dittatore che, magari, entra nelle grazie dei gestori dei social?

Se si concorda che la libertà di manifestazione del pensiero è un principio fondamentale, allora può essere ridotta solo eccezionalmente, tassativamente, temporaneamente e per tutelare un’altra libertà costituzionalmente garantita.

È un problema che riguarda tutti, nessuno escluso, e tutti dobbiamo interessarcene. È capitato a Trump, che magari è antipatico ai più. Ma se poi capitasse a noi?

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Consiglio di lettura:

M.F. De Tullio, Uguaglianza sostanziale e nuove dimensioni della partecipazione politica, ES, 2021;

Angelo Alù, Oversight board di Facebook alla prima prova: così si disvela il suo ruolo

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