Senna e il destino cinico e baro.

Il 1° maggio 1994 non avevo compiuto ancora 12 anni, ma da qualche tempo avevo cominciato a seguire la Formula 1. C’era quel Michael Schumacher che mi sembrava proprio bravino (e lo era, cazzarola se lo era, nei successivi 12 anni l’ha dimostrato), ma Senna era di un altro pianeta.

Tornando a Senna, quel giorno vidi l’incidente in diretta, a conclusione del weekend sportivo più assurdo di sempre: venerdì pomeriggio, nelle prove libere, Barrichello si fece molto, ma molto male alla Variante Bassa.

Nelle prove del sabato morì Roland Ratzemberger, perennemente dimenticato (ma non da Senna che ne rimase molto turbato sia dall’incidente di Barrichello che dalla morte dell’austriaco).

In gara, incidente in partenza, con feriti tra il pubblico: J.J. Letho e Samy si urtarono alla partenza e i rottami finirono tra il pubblico. Safety Car in pista e, alla ripartenza dopo il rientro, l’incidente di Senna.

Dopo aver sospeso, finalmente tutto, con l’elisoccorso in pista, a gara ripresa, in corsia box furono investiti i meccanici da una ruota che si staccò da una Minardi fresca di pit stop e li investì. Nessuno fermò quella surreale successione di tragici eventi, mille polemiche vi furono per questo.

Dicevo, non avevo nemmeno 12 anni e quelle polemiche non le comprendevo completamente.

Tuttavia, quello che compresi è che dopo qualche ora di agonia se ne andò Senna, e quella domenica pomeriggio fu tristemente consegnata agli annali sportivi, al cordoglio.

Capii anche un’altra cosa: il destino cinico e baro, anche quello che comporta una fine traumatica, arriva per tutti: per i più forti (Senna) e per gli ultimi arrivati (Ratzemberger era al suo 3° GP in assoluto).

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